Il lupo e la sua ultima caccia

Il protagonista di questo libro non è mai un paladino, così come il lupo nelle favole. Le brillanti e a tratti tormentate indagini del poliziotto Diego ne fanno una figura da antieroe, unico e separato, dalle travolgenti doti carismatiche. Il branco è il suo habitat, ma quando si apre la caccia, egli si inoltra solitario oltre il limite della patinata città dalle glorie passate per inabissarsi nei meandri di un sottosuolo ove regna l’infelicita’ umana. Lì, tra atmosfere noir che rivelano il balzo incolmabile tra l’ideale e il reale, il lupo si confronta con prepotenti ed assassini, e oltre: viziosi, reietti, mediocri e falliti. Costretto tra le maglie di una struttura oltremodo formale ed inscalfibile, egli spinge le sue indagini combinando perfettamente la limpidezza della ragione con l’odorato investigativo più tradizionale. Invito alla lettura delle sue narrazioni, non fosse per altro che un antieroe, sempre distante dai modelli eterni e retorici quali quelli attuali, ben conosce l’umanità che lo accomuna alle sue prede, scegliendo di rimanere adeso ad una dimensione tutta e sempre terrena sino all’epilogo ultimo. Buona lettura!

"Il Lupo e la sua ultima caccia" di Diego Costacurta non è un poliziesco. Questo genere letterario purtroppo annovera spesso storie inverosimili, costruite intorno a clichés collaudati che rassicurino il lettore nel suo bisogno di pensare che buoni e cattivi siano ben distinti e identificabili, e gli offrano un eroe, paladino della legge, capace di riscattare almeno nella fantasia il male del mondo. Libri siffatti sono come certi cibi industriali che lasciano in bocca un saporaccio di cartone o di medicina. Quello di Diego, invece, regala il gusto autentico e rustico di un panino con la mortadella, di quella che non ha mai visto il frigo e che unge le mani. Non è un romanzo propriamente detto e sarebbe riduttivo derubricarlo a narrazione autobiografica. "Il Lupo" è una finestra. Innanzitutto su Sanremo, una cittadina provinciale nell'animo che si crede importante grazie all'esposizione mediatica dei quattro giorni festivalieri per tornare a sonnecchiare il resto dell'anno nella mediocrità di bottegai invidiosi che reclamano legalità e magari poi frodano il fisco. Una finestra sul mondo criminale fatto di traffico di droga e lotte tra bande di extracomunitari, di commercio illegale di false griffe, di reati quali truffe ed estorsioni e di qualche omicidio, fortunatamente raro. Ma è soprattutto una finestra sull'umanità, che si tratti di disgraziati confinati nella "Pigna", lontano dalle vetrine chic del centro, dal mondo perbene che li tollera finché non oltrepassano l'invisibile confine della promiscuità, o che si tratti dei colleghi con i quali Diego ha condiviso trent'anni di servizio in Polizia. Diego non nasconde le miserie umane, quelle dell'animo prima che quelle della condizione sociale. Non fa sconti né ai delinquenti che caccia come un lupo, ma ai quali riserva una "pietas" ignota ai suoi concittadini, né ai colleghi ammaliati dal potere di decidere della vita altrui, prigionieri e al tempo stesso complici di una gerarchia che annulla ogni merito, premia i più furbi e trasforma i potenziali lupi in squallide iene. Non fa sconti neanche a sé stesso quando analizza i propri stati d'animo: "...con il gesto rituale d'indossare le cuffie (si parla di intercettazioni telefoniche) si ha la sensazione di entrare in un mondo nuovo, che non ti appartiene, al quale non appartieni, e un singolare stato d'animo mescola sapientemente piacere, timore, incertezza e percezione del controllo della vita altrui"; oppure quando, dopo aver fatto irruzione in una fabbrica clandestina di false griffe e aver trovato donne e bambini cinesi costretti a lavorare come schiavi, confessa: "mi coglie un senso di colpa enorme, vorrei piangere, ma non mi è concesso"; e ancora, dopo aver "shakerato" un po' troppo un estorsore, si riprende dicendosi: "... che cazzo mi è preso, non posso fare il giustiziere". Insomma, un racconto vero e onesto, come se Diego fosse al tavolo di un'osteria, istrionico oratore, a narrare vicende rivelatrici di aspetti comuni a ogni uomo, anche se nascosti dalla maschera della nostra ipocrisia. Infine, mi è parso di cogliere in queste pagine (a proposito, puristi della lingua astenetevi oppure prendetevi un Maalox) il bisogno personale di Diego di lasciarsi alle spalle rimpianti e rimorsi: "buttare fuori" il passato è spesso terapeutico e propizio a una rinascita. Buona lettura (Lo trovate facilmente cercandolo con Google)