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Anima e Foglie

Anima e Foglie

di Elena Cornacchione (Autore)

Non c'è Vita senza Natura
Non c'è Uomo senza Natura
Non c'è Guarigione senza Natura
Non c'è Psicoterapia senza Natura
Madre Natura apre, anzi spalanca le porte dello studio di Psicoterapia ed invita il paziente seduto sul divano ad uscire fuori, alla ricerca della propria originaria essenza. Da anni la dottoressa Elena Cornacchione, integra la psicoterapia tradizionale alle infinite possibilità di riconnessione che la Natura offre, proponendo ai pazienti che considera "compagni di viaggio", un ritorno alla fonte originaria del proprio Sé.
La bellezza di questo modello di psicoterapia, risiede nel fatto che Elena diventa strumento di mediazione tra Psiche e Natura, facendo partecipare attivamente quest'ultima al processo psicoterapeutico.
Contemplare il cielo nella magnificenza dei suoi colori, sentire il soffio del vento sulla pelle, percepire ad occhi chiusi il fruscio delle foglie, ascoltare il canto di un uccellino nelle vicinanze, inebriarsi con i profumi dei fiori come farfalle ed api: ci si abbandona totalmente all'abbraccio di Madre Natura, che grazie al suo poetico linguaggio universale, si offre maestra e guida per ogni creatura.
Il testo è un grande atto d'Amore che l'autrice compie sia verso la sua Musa Ispiratrice: la Natura, che verso i suoi preziosi "compagni di viaggio", per risuonare in quella Vibrazione Universale che porta consapevolmente a sentirsi parte del Tutto.

Informazioni editoriali

Data di uscita
2021
Editore
Youcanprint
Pagine
160
ISBN
ISBN
9791220312905

Recensioni clienti

5 su 5 stelle sulla base di 2 Recensioni
Da di Marianna Scibetta sulla rivista online Aforismi.it il 14 set 2021
Pubblicazione cartacea

Una recente lettura del libro “Anima e foglie” di Elena Cornacchione, psicologa e psicoterapeuta, edito Youcanprint, è sin dalle prime pagine un libro-mondo di grande respiro. In genere definisco libro-mondo quei testi che aprono dimensioni dove luce, vento, brume, atmosfere, e persino sassi e ombre boschive appaiono e si materializzano, sublimando il momento della lettura. Ma un libro-mondo è anche una dimensione interiore che si interfaccia alla nostra interiorità di lettori, in una combinazione di intervalli temporali tra il vivere e il leggere, la stessa combinazione di pause temporali che ci accade di attraversare con l’estraniamento di noi stessi nella natura. L’essere umano è intimamente connesso alla natura, non ci sarebbe vita senza la natura, senza quel rapporto di dipendenza per il quale l’uomo respira e si nutre, così è per tutti gli elementi viventi del regno animale e vegetale. Il funzionamento stesso del nostro organismo è direttamente connesso al sistema naturale, i nostri sensi, i nostri bisogni primari, la nostra evoluzione è legata ad un unico destino di filogenesi ed ontogenesi, un intreccio che si annoda nel DNA. Il titolo del libro ” Anima e foglie” è appropriato perché di questo si tratta, di un percorso tra la “luce verde” della Natura che è anima del mondo, lo stesso mondo che ci culla, ci nutre, ci accoglie, ci sostiene e l’anima dell’uomo che ne reclama la vicinanza, l’appartenenza, che si allontana per poi tornare alla sua ricerca. La poetessa antropologa, candidata al premio Nobel per la Letteratura ed attivista brasiliana, Marcia Theophilo, nella sua incessante lotta per la difesa della Foresta Amazzonica invoca lo spirito della foresta dove “esistono più occhi che pietre” e dove i cuori degli animali, tutti gli animali “si accendono luminosi/ scompaiono i corpi/ e tante luci vagano nel bosco, quante le stelle nel cielo/ è la notte dell’armonia…”. È proprio l’armonia che risalta nella ricerca di Elena Cornacchione, una ricerca che va guidata laddove non si è pronti a capirne l’essenza, perché la natura contiene tutti gli accordi necessari a trovare quelle vibrazioni e quelle armoniche risonanze per le nostre corde interiori, le corde di uno strumento meraviglioso e sofisticato che è il nostro essere. Nelle foglie si coglie tutta la metafora della nostra esistenza terrena: come le foglie siamo attaccati ad un ramo, come le foglie germogliamo, mutiamo colore, assorbiamo nutrimento dalla pianta, ci pieghiamo al vento e ci stacchiamo. Marco Tullio Cicerone aveva intuito già prima di noi che coloro i quali avessero posseduto una biblioteca e un giardino, avrebbero avuto, in realtà, tutto ciò che sarebbe servito loro nell’arco di una vita. Se noi riuscissimo ad immaginare come sia stato il nostro pianeta per i primi “abitatori pensanti” potremmo realmente capire che la Natura stessa è già “libro e giardino”, un libro-mondo dalle pagine infinitamente grandi dove paesaggi e zone climatiche, boschi, deserti, mari e oceani tessono le trame di tutte le esistenze degli esseri che si muovono e sono in essa. L’uomo agendo da “pensante” è colui che separa il libro dalla Natura, il pensiero dall’istinto. L’essere umano ha preso coscienza dell’Esistere, appropriandosi di quella capacità creatrice che lo ha reso artefice, attraverso la tecnologia e l’arte, di un delirio da demiurgo spesso distruttivo della sola armonia naturale di cui abbisogna. Anima e foglie avvicina due estremi, le rive opposte di un fiume che divide il corpo dallo spirito, il mondo caotico delle attività umane dall’armonia primordiale della natura, l’alienazione quotidiana dal respiro cosmico ed universale che riporta ad un ordine ancestrale benefico e salvifico. Elena Cornacchione unisce la sua esperienza di psico-terapeuta alle sue passioni di naturalista ed artista e dipinge sulla grande tela delle relazioni personali ed interpersonali tutte le possibili immagini, sensazioni, emozioni che, passeggiando lentamente nella Natura si palesano e riemergono non solo allo sguardo reale posato sulle cose, sul paesaggio, ma anche all’immaginario. L’autrice, in realtà, non finisce il disegno, lo tratteggia, ne indica i contesti, ma non in maniera direttiva, semplicemente si incammina con il lettore così come fa col paziente e lo conduce sullo scorcio da rappresentare sulla tela. Si ode quasi la sua voce narrante mentre si procede tra i paragrafi e si avverte la sua spiccata capacità di “ascolto”, perché anche se procede con una vivace e incalzante analisi delle situazioni descritte, va conducendo il lettore proprio dove egli desidera andare. Il suo “ascolto-intuito” sa dove la nostra anima vuole addentrarsi se in un sentiero nel bosco, in un giardino inglese o in un giardino all’italiana con le siepi scolpite, se sul filo dell’acqua di un lago o davanti al mare aperto. Non è mai invasiva la sua presenza, ma laddove si fa più effimera si avverte la necessità di andarla a cercare come la Sheherazade di fiabesca memoria. Anima e foglie è anche un libro che spinge a rendersi conto del grande potenziale curativo della Natura, suggerisce percorsi ed indica tecniche ben precise che i non esperti ignorano con riferimenti precisi a studi e sperimentazioni come il National Health Service scozzese che scandisce ritmi e programma vere e proprie prescrizioni curative : le Nature Prescriptions” con indicazioni attinenti percorsi immersivi nella flora e negli ambienti attraverso la vicinanza, l’osservazione della fauna, tutto ciò per alleviare dolori e malesseri psico-somatici, reagire agli stati umorali depressivi, al senso di solitudine, all’ansia, allo stress. Viene fornita anche un’interessante presentazione della Forest Therapy, una pratica salutogenica che invita all’apertura dei propri sensi alla foresta attraverso “una attenzione senza sforzo” che migliora le capacità propriocettive, fa aumentare la consapevolezza del sé prima di renderci capaci di relazionarci agli altri e permetterci l’apertura alla dimensione empatica. Anche la consapevolezza dell’essere presenti e partecipi in un contesto va appresa, riappresa, esperita ed imparata a tutti i livelli, attraverso tutti i sensi e le capacità che ci provengono dalla sinestesia. “Non amo meno gli uomini, ma più la natura /e in questi miei colloqui con lei io mi libero/ da tutto quello che sono e da quello che ero prima, / per confondermi con l’universo…” così Lord Byron spiega attraverso i suoi sublimi versi il bisogno di immergersi e reimmergersi nella natura, preso dall’incanto che vi è nei boschi. Leggendo Anima e foglie mi è venuto alla memoria il testo della Lettera del capo indiano Seathl al Presidente americano Franklin Pearce, quando questi propose ai pellerossa di vendergli tutte le terre tranne una porzione, una riserva dove avrebbero potuto vivere separati da tutto il resto. Il grande capo Seathl detta una lettera di risposta meravigliosa per il Presidente americano che testimonia l’enorme lungimiranza degli Indiani, dei cosiddetti “primitivi”, degli aborigeni che pur senza istruzione, senza libri scritti, senza lo studio sistematizzato dei Saperi, senza alcun mezzo tecnologico avanzato già due secoli fa, e ancora prima, avevano compreso tutto e avevano “scritto” una filosofia di vita degna dei massimi pensatori di tutti i tempi, anzi in maniera più spiccata avevano colto l’ Essenza del vivere in stretto sodalizio con la Natura, la madre di tutte le madri. “Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo, ogni ago scintillante di pino, ogni radura, ogni velo di nebbia in mezzo ai boschi oscuri, ogni goccia di rugiada, sono sacri alla memoria del mio popolo. La linfa che scorre negli alberi porta la memoria del mio popolo…voi dovrete ricordare ed insegnare ai vostri figli che essa è sacra…Tutto ciò che è buono proviene dalla terra…qualunque cosa viene fatta alla terra, la stessa cosa accade ai figli della terra…Tutte le cose sono collegate tra di loro…” Si potrebbero fare mille citazioni, attingendo da questo volume poiché nelle armoniche pagine si trovano menzioni colte e puntuali, degne della letteratura più qualificata. Non solo rispetto all’informazione scientifica psicologica, ma anche e soprattutto nei riguardi della Natura così profondamente amata e rispettata da farne contesto integratore nei suoi percorsi personali e professionali.

Da Marco Testi. L’Osservatore Romano 10/07/2021 il 14 set 2021
Pubblicazione cartacea

La poesia e la natura si sono spesso incontrate, fin dalla antichità più remota, ma forse è solo con Emily Dickinson che questo incontro diviene, o torna a divenire, una vera e propria Rivelazione. La poetessa di Amherst trasforma i boccioli, i rami, le erbe del suo giardino in presenze che alludono al prima del Giardino originario: «Al mio vigile orecchio le Foglie — parlavano — / i Cespugli — erano Campane — / non riuscivo a isolarmi / dalle sentinelle della Natura / se in una Grotta pensavo di nascondermi / le Pareti — cominciavano a raccontare — / il Creato sembrava un potente Boato — / che mi rendeva visibile». Quello che ancora oggi ancora stupisce è il linguaggio visionario, avulso da quello denotativo del realismo che pure conosceva in quegli anni gli apporti di Dickens e di Balzac. E non solo: in quel medesimo periodo Lewis Carrol scriveva Alice nel Paese delle Meraviglie, che in una prosa apparentemente svagata ma puntigliosa nella sua ostinazione infantile, quasi rassegnata all’accadere anche di ciò che non si ritiene possibile, affronta il tema delle metamorfosi del visibile agli occhi di chi sappia guardarle. E quelle pareti che iniziano a parlare di Emily non sono poi così lontane dalle visioni che dominano il percorso di Alice. Il ritorno alla natura è accompagnato dall’attenzione anche della psicologia: proprio in questi giorni è uscito Anima e foglie. La forza della guarigione psicologica della Natura, della psicoterapeuta Elena Cornacchione (Lecce, Youcanprint, 2021, pagine 159, euro 17) in cui l’autrice, oltre a illustrare le sue tecniche terapeutiche, che comprendono passeggiate con i pazienti a contatto con gli alberi, le acque e le creature dei boschi, si sofferma in un apposito capitolo su quella letteratura che ha celebrato la comunione dell’uomo con la grande madre. Anima e foglie, dopo aver parlato della Dickinson, affronta i protagonisti della cosiddetta rinascenza americana: Thoreau, ad esempio, che visse per due anni in un bosco, e Whitman. Il creato viene visto dal poeta di Foglie d’erba non come separato dalla ragione, ma un tutt’uno con essa. Non è un caso che anche le poesie meno amate da Whitman stesso, come l’aggiunta scritta alla notizia dell’uccisione del presidente Lincoln, abbiano al loro centro il computo del tempo attraverso i segni della natura. E diventeranno paradossalmente le più conosciute dal grande pubblico grazie al film di Peter Weir, L’attimo fuggente: «Quando i lillà fiorivano, l’ultima volta, nel prato davanti alla casa / e il grande astro del cielo d’occidente calava presso la sera, / io ero in lutto, e sempre lo sarò, ogni volta che torni primavera. / Primavera che sempre ritorni, sempre mi porterai questa triade, / i lillà perennemente in fiore, l’astro che tramonta ad occidente, / ed il pensiero di colui che amo». Henry David Thoreau vede nella natura l’unico modo di tornare al senso autentico della vita. Una frase da Walden, «in una bella mattina di primavera tutti i peccati umani sono perdonati», ci fa pensare a quanto l’archetipo della stagione della rinascita sia rimasto nell’immaginario dei poeti di tutti i tempi. Ne abbiamo testimonianza nell’esordio primaverile dei provenzali, e, del resto, gran parte della letteratura continua a identificare la comparsa dell’amore e della speranza con la primavera. E con la Creazione, come nella Commedia dantesca. Anche Baudelaire, affascinato — e terrorizzato — dal labirinto della nuova città post-industriale, riconosce nel simbolo una lontana eco della antica comunione con la natura: «La Natura è un tempio in cui pilastri vivi / a volte emettono confuse parole; / l’uomo, osservato da occhi familiari, / tra foreste di simboli s’avanza». D’altronde Il burattino Pinocchio è di legno, un legno non particolarmente nobile, il che richiama alla pietra scartata che diviene testata d’angolo del Vangelo, tanto per sottolineare l’estrema penetrazione non solo nella fede ma anche nelle radici profonde dell’essere della Scrittura. La comunione con la natura può essere letta anche nelle sue valenze di orrore sacro, come percezione dell’abisso originario celato nella natura. E probabilmente il canto delle sirene omerico è lontano ricordo della minaccia dell’indifferenziato, il ritorno al grembo della grande madre. Non è un caso che la morte per annegamento divenga poi un motivo della modernità, basti pensare alla Waste land di Eliot. E come non interpretare la selvaggia natura di Cime tempestose di Emily Brontë come altra forma della furia della passione e del destino di amore-morte di Heathcliff e Catherine? Ma ci sono due libri del Novecento che più di altri hanno narrato il ritorno alla natura: Le scogliere di marmo di Ernst Jünger e La pietra lunare di Tommaso Landolfi, ambedue usciti nel 1939. In Le scogliere di marmo, che segna il definitivo distacco di Jünger dal nazismo, si assiste al conflitto tra gli uomini della Marina, dediti alla coltivazione e ad un rapporto costruttivo con la natura e quelli del buio delle selve, guidati dal Gran Forestaro che rappresenta non come qualcuno ha detto la natura selvaggia, ma l’uso del ritorno alla foresta e alla forza come vessillo ideologico di sopraffazione verso l’altro. Nella Marina, botanici, monaci, ex soldati collaborano per trovare un modo di vita conciliato con il creato, anche attraverso lo studio della natura: «Non ci era difficile allora il dar nomi alle cose, e nell’Eremo della Ruta noi ci muovevamo come in uno spazio ove fosse diffusa una potenza magnetica». In La pietra lunare Landolfi ci presenta l’incontro tra un ragazzo di città e una fanciulla che viene dalle montagne. Il protagonista pensa, come faremmo tutti noi, che per montagne si intenda una casa sulle colline, mentre invece la ragazza viene dalle profondità dei boschi. Gurù è infatti una Verania, un essere metà donna e metà animale, che ha il compito di condurre il protagonista nei boschi più fitti della zona, e di notte, per metterlo in contatto con lo spirito dei luoghi. E non è un caso che la scena culminante sia l’incontro con le tre grandi madri. I richiami sono molteplici: la statuaria antica, gli studi sul matriarcato, Thomas De Quincey, i miti greci, le Parche soprattutto. Ma qui c’è qualcosa di più. Il romanzo è un tributo notturno alla natura, un elogio dell’ombra, direbbe Borges. Non la natura solare, diurna, tranquillizzante, ma quella notturna, che ci costringe a usare i sensi più profondi, i ricordi ancestrali, i racconti di origine. Non è un caso che le tre madri guardino fissamente la luna, Diana-Ecate-Persefone, il simbolo vivente dell’interminabile danza delle ore, della polarità luce-ombra, della impossibilità di separare ciò che da sempre è unito. Ed è anche per questo che il ritorno all’Icona della Madre di Dio è uno dei capitoli più affascinanti, che lambisce lo stesso Botticelli terminale, della nostra storia dell’arte.

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